In occasione della collettiva “La Ceramica prende forma” a Montelupo Fiorentino sono esposte opere dell’autore Lucio Fontana
Le idee non si rifiutano, germinano nella società, poi pensatori e artisti le esprimono.
Lucio Fontana (Rosario di Santa Fe, Argentina, 1899 – Comabbio, Varese, 1968), nato da genitori di origine italiana, il padre Luigi scultore, la madre attrice di teatro, viene inviato in Italia per gli studi presso lo zio a Castiglione Olona frequentando scuole tecniche. L’apprendistato artistico inizia col rientro del padre in Italia. Fontana si arruola volontario nella prima Guerra mondiale ed è ferito sul Carso. Consegue il diploma di perito edile. Nel 1921 rientra a Rosario di Santa Fè per dedicarsi alla scultura come ricerca, dal 1924, aprendo uno studio. Vince concorsi pubblici ricevendo commissioni importanti.
Nel 1927 torna a Milano, si iscrive al corso di scultura di Adolfo Wildt e alla Scuola del marmo dell’Accademia di Belle Arti di Brera; si diploma nel 1929. Nel 1930 partecipa alla XVII Biennale di Venezia e tiene la sua prima personale organizzata da Edoardo Persico alla Galleria del Milione a Milano esponendo un’opera di profonda rottura: Uomo nero con cui inizia il tema della figura ridotta a sagoma, che con disegni e tavolette graffite apre una fase di sperimentazione che conduce a sculture astratte prossime all’area dell’astrattismo lombardo e al gruppo parigino Abstraction-Création.
Dal 1935 al 1939 si dedica alla ceramica lavorando da Giuseppe Mazzotti ad Albisola imprimendo alla terra una dinamica tellurica e liberando la forma grazie all’uso di colori dai riflessi metallici. Nel 1936 il Salone della Vittoria alla VI Triennale, apre a opere aperte nell’ambiente. Nel 1940 rientra in l’Argentina per il concorso per il Monumento Nacional a la Bandera, da erigersi a Rosario. Coevo è un un gruppo di disegni in cui compare il termine Concetto Spaziale. Del novembre 1946 è il Manifiesto Blanco. Nel ‘47 rientra a Milano; riprende il lavoro di ceramista; nasce in dicembre il primo Manifesto dello Spazialismo. Negli ulteriori Manifesti ribadisce l’esigenza di superare l’arte del passato e di produrre nuove forme d’arte utilizzando nuovi mezzi resi disponibili dalla tecnica.
Del 1949 è l’Ambiente spaziale a luce nera alla galleria del Naviglio. Avvia il ciclo dei “Buchi”. Come ceramista espone alla mostra Twentieth-Century Italian Art, al MoMA di New York. Personale nel 1950 alla XXV Biennale di Venezia. Partecipa al concorso per la V porta del Duomo di Milano. Dagli anni Sessanta realizza opere su tela attraversate da buchi o lacerazioni, rievocazioni di Venezia esposte alla prima personale statunitense alla Martha Jackson Gallery di New York nel 1961. Ispirate alla metropoli newyorkese sono i “Metalli”, lamiere specchianti squarciate. Si moltiplicano le personali, a Milano, Venezia, Tokyo, Londra, Bruxelles. Del 1963-1964 sono le tele ovali dal titolo “Fine di Dio” (1963-1964) con buchi e lacerazioni, esposte alla Galleria dell’Ariete a Milano e alla Iris Clert di Parigi. Del 1964-1966 sono i “Teatrini” in legno laccato a colori.
Del 1966 sono personali al Walker Art Center di Minneapolis, alla Marlborough Gallery di New York e alla Galerie Alexander Jolas di Parigi; la sala alla XXXIII Biennale di Venezia in collaborazione con l’architetto Carlo Scarpa vale il gran premio della Biennale. Del 1967 sono le “Ellissi” monocromatiche, attraversate da buchi eseguiti a macchina. All’inizio del 1968 Fontana lascia il suo studio milanese di Corso Monforte per trasferirsi a Comabbio presso Varese. È considerato tra i massimi protagonisti dell’avanguardia artistica mondiale del XX secolo, artista di riferimento per il livello della ricerca e la straordinaria e poetica qualità di risultati.