CANTIERE #1: VICTORIA DE BLASSIE
di Christian Caliandro

The past inside the present
BOARDS OF CANADA,
MUSIC IS MATH
(GEOGADDI, 2002)
A distanza di sei mesi dalla conclusione della terza edizione, ecco che a settembre 2024 ripartono le residenze dei Cantieri Montelupo. Insieme a Benedetta Falteri, direttrice della Fondazione Museo Montelupo, abbiamo deciso di apportare alcune modifiche al format: intanto, abbiamo dilatato la permanenza degli artisti da sette a dieci giorni, per consentire loro una più intensa e profonda immersione nell’ambiente delle botteghe a loro assegnate, e una crescita significativa nella relazione con i ceramisti che li affiancano; inoltre, abbiamo deciso di eliminare per il momento la dimensione del workshop, sempre con l’obiettivo di favorire la concentrazione sul lavoro vero e proprio; infine, sarà tutto più ravvicinato, dato che le quattro residenze partono l’11 settembre e si concludono il 10 ottobre, con un ulteriore mese per completare le rispettive produzioni.
La prima artista è Victoria DeBlassie, autrice statunitense di Albuquerque, New Mexico, ma con solide origini lucane (oltre che francesi, native americane, ecc. ecc.), e che vive e lavora da dodici anni a Firenze. Victoria porta a Montelupo la sua esperienza di autrice nel campo della scultura e dell’installazione, con un interesse pronunciato nei confronti dei materiali organici e dell’ecologia e con un’attitudine quasi da etno-archeologa.
Partendo da questa base, insieme a Beatriz Irene Scotti e a Veronica Fabozzo, ha iniziato il suo processo. Beatriz in particolare, argentina e montelupina, ha una storia ricca e originale come la sua ceramica, e non è un caso che le due artiste stiano collaborando. Questo processo, come sempre all’interno di questo progetto così semplice e così complicato, è qualcosa di lungo, faticoso e divertente, nient’affatto scontato: è un percorso che l’artista affronta insieme all’artigiano/a (in questo caso, alle due artigiane), irto di ostacoli e pieno di deviazioni, in cui tra l’altro entrambe le figure tendono a scambiarsi i ruoli e a fonderli. L’ideale è che la relazione costruita in così breve tempo diventi a tal punto stratificata da costruirsi come un vero dialogo e un autentico scambio.




CHE COSA ACCADE. Accade così che l’inizio sia una sperimentazione dei materiali, basati sulla progressiva conoscenza delle possibilità e dei limiti. In questo modo, si saggiano le idee che man mano vengono fuori. Victoria, con l’aiuto e il supporto di Beatriz e Veronica, esplora per esempio il comportamento dei vari frammenti applicati sulla ceramica, e come i diversi materiali – le murrine, per esempio, o le sue amate arance a cui ha dedicato molti lavori interessanti nel corso degli ultimi anni – reagiscono agli smalti.
È il turno poi del raku, tecnica giapponese immancabile nel laboratorio di Beatriz, e al tempo stesso veicolo di un’intera filosofia che ha a che fare con l’esistenza oltre che con la ceramica: in questo caso, infatti, l’elemento della trasformazione diventa ancora più centrale, se possibile, portando con sé dimensioni al tempo stesso delicate e pesanti. Il tempo si contorce, si distorce, si accartoccia in un oggetto realizzato con la tecnica di cottura raku: il passato entra nel presente e lo allaga, per così dire, o lo incenerisce.
Il termine raku significa “comodo, piacevole, rilassato”, evoca la gioia di vivere, e deriva dal sobborgo di Kyoto in cui veniva estratta l’argilla nel sedicesimo secolo. La tecnica utilizzata da molti ceramisti occidentali, che prevede il collocamento delle ceramiche in contenitori pieni di materiale combustibile, non può essere considerata una pratica tradizionale giapponese del raku, ma da attribuire alla tecnica raku Americano. Americano, come Victoria; comodo, piacevole e rilassato come è il carattere di questa artista dalle origini così ricche e articolate, e dall’attitudine così poco portata all’ansia e all’agitazione (sempre invidiato, tra l’altro, questo tipo di carattere).
Questo intero mondo è, del resto, particolarmente congeniale alla ricerca di Victoria DeBlassie: nella sua opera, infatti, spesso i fattori più effimeri e impermanenti tendono a incontrare quelli più fissi e cristallizzati.
In ultimo, quasi a compendio di tutto il lavoro svolto finora, c’è l’approfondimento del nano da giardino in ceramica – oggetto di una scoperta e di una fascinazione. Questa figura viene sottoposta a ridefinizione e rielaborazione, sottrazione. Il cappello, in particolare, sta diventando in questa bottega un oggetto autonoma, cono ricoperto di elementi vegetali e di grottesche rinascimentali. Vedremo, nel completamento di questa produzione, che foggia assumono, e dove andranno a finire… Stay Tuned.
Christian Caliandro