Magie e alchimie di Montelupo
#cantieremontelupo
Dal 2017 al 2019 Matteo Zauli,
direttore del Museo Carlo Zauli di Faenza, ha curato alcuni progetti di
residenza artistica per la Fondazione Museo Montelupo, portando un grande
contributo allo sviluppo di percorsi di integrazione tra le competenze
ceramiche del territorio e l'arte contemporanea.
Progetti, mostre ed esperienze,
Materia Prima, Doppio Circuito, About a Vase, Il Colore Interiore e le edizioni del Ceramic
Performance Festival per Cèramica, che ricorderemo negli articoli delle prossime settimane, dando
voce ai protagonisti.
In questo contributo al blog Dis|chiuso, nel ripercorrere la sua esperienza montelupina, Zauli evidenzia un aspetto che ha sempre guidato la progettualità dei Cantieri d'Arte di Montelupo, ovvero l'investimento in accoglienza, il clima di scambio e il confronto umano e professionale da cui, facendo leva sulle grandi capacità degli artigiani, genera l'eredità che ogni progetto è stato in grado di lasciare al territorio e ai protagonisti della ceramica.
Magie e alchimie di Montelupo.
Mi
è capitato recentemente, rispondendo alle domande di un’intervista, di
riflettere sul senso del mio lavoro e di parlare con entusiasmo delle mie
esperienze montelupine. Passano i mesi, ma non accenna a svanire il senso di
gratitudine verso questo luogo e la consapevolezza di aver fatto parte di un
progetto che ha tracciato la propria strada in profondità, ben sotto la
superficie, tra le radici del fare oggetti d’arte, in ambito oggettuale o
scultoreo.
Forse
ci siamo ispirati alla storia del posto quando abbiamo deciso di scavare, di
cercare in profondità. Di fare un lavoro, cioè, che non avesse come primo
obbiettivo quello di produrre soltanto opere di artisti importanti, ma di
provare ad approfondire il contatto tra artisti e artigiani, cercando molle di
rinnovamento tra linguaggi espressivi lontani dai materiali ceramici, da
sguardi tecnici, dalla tradizione del luogo, dallo stato delle cose.
Ed
è così che è accaduto qualcosa di speciale. La cosa che solitamente non accade
in questo tipo di progetti è trovare ceramisti di esperienza, già immersi nel
quotidiano ritmo produttivo, disposti a fermarsi a pensare. Disponibili a
mettersi in gioco, a raccogliere sfide anche astratte che artisti venuti da un
altro mondo proponevano di intraprendere per le proprie opere e per quelle
degli stessi ceramisti che li ospitavano. Disponibili quindi a mettere in campo
entusiasmo, energia, tempo e risorse. Ceramisti affascinati dalla novità delle
proprie forme che, germogliate da questa serie di incontri, fiorivano in modo
del tutto inaspettato.
Da
molto tempo notavo che c’era un limite nel mio lavoro di residenza d’artista
realizzato a Faenza. C’erano incontri, è vero, tra ceramisti ed artisti di
diversa estrazione, ma erano incontri dai quali gli attori uscivano di scena
nello stesso identico ruolo che avevano prima di entrarvi. I ceramisti non
uscivano mai veramente da una dinamica mentale legata alla committenza di un
lavoro di altri e una vera e propria osmosi, di fatto, era rimasta lontana.
A
Montelupo invece l’alchimia si è compiuta, e ne restano tracce. Di queste,
voglio citare quattro opere tra quelle realizzate dai molti attori coinvolti in
questi processi.
Di
terra in terra di Patrizio
Bartoloni (ciotola a tornio, smalto nero opaco e cristallina lucida, zolle
delle colline di Montelupo con cristalline e smalti autoprodotti), un lavoro
del 2019 nel quale l’autore opera una sintesi tra raffinatezza, preziosità
artigianale, legame con il proprio territorio e richiami arcaici, simboleggiati
dai grumi di terra presi dall’argine dell’Arno, a pochi metri dalla propria
bottega e dal centro storico cittadino.
La
finestra di Sergio Pilastri (6
lastre di maiolica dipinte con smalti metalizzati), sempre del 2019, un
pannello ceramico nel quale la ricchezza pittorica di cui l’autore è capace si
concentra in un rapporto dialettico tra decorazione e monocromatismo, quasi a
citare le due metà della mela nella quale si è svolta tutta la storia della
ceramica e che vede un dettaglio lussureggiante e solare contrapporsi
all’oscurità della stanza; un’oscurità tutt’altro che sorda, ma preziosa,
cangiante, ricca di carattere e profondità.
Il
Planetario di Ivana Antonini (vaso in
maiolica con smalto al selenio), un vaso scultura realizzato nel 2017, durante
Materia Montelupo, nel quale tutta la dirompente energia del coloratissimo
mondo creativo dell’autrice si armonizza ad una complessa costruzione
scultorea, quasi ad evocare in modo molto personale le storiche influenze che
la dinamica spaziale ha esercitato nell’arte contemporanea a partire dagli anni
sessanta.
Artediddio di Luca Vanni, del 2018-19, nel quale un incidente di produzione si trasforma in una potente scultura dai toni al tempo stesso antropologici e materici, traccia dell’energia che l’incontro tra materia, fuoco, e volontà dell’uomo può scatenare, dando vita ad una forma fortemente espressiva che il caso ha definito ma che l’autore ha avuto il merito di accettare e far propria.
Matteo Zauli
-
Il planetario - Ivana Antonini -
Bartoloni - Photo Credit Ceramica Bartoloni -
La finestra - Sergio Pilastri -
Luca Vanni - Photo credit Mario Lensi
Il “Polpoiattolo”
#collezionemontelupo
Continuiamo il viaggio fra le maioliche del nostro museo.
Il secondo soggetto che vorrei prendere in considerazione è
un piatto, proveniente dallo scarico di fornace, indagato nel 1988, che fu
scoperto durante i lavori di ristrutturazione ed ampliamento della vecchia sede
del Museo della Ceramica.
Fra i molti reperti che il recupero ha restituito, questo
piatto suscita, per il soggetto rappresentato, una certa curiosità.
Si tratta di un piatto, databile al 1480-90, il cui decoro
sulla tesa è del genere “Foglia valenciana” realizzato con un lungo stelo che
corre dividendo in due parti uguali lo spazio fra la parte centrale del piatto
e il suo bordo, da cui, ad intervalli regolari si dipartono coppie di foglie una al di sopra e d una al di sotto
dello stelo, alternando il colore azzurro al colore arancio.
L’azzurro e l’arancio sono anche i colori usati per limitare
lo spazio dedicato al decoro sulla tesa con una cerchiatura blu sul bordo ed
una arancio a delimitare il centro del piatto dove è raffigurato un animale.
Sulle maioliche montelupine sono frequenti le raffigurazioni
di fiori ed animali. L'impiego di tali immagini deriva dalla cultura medievale
che utilizzava la natura come un immenso serbatoio di simboli, riferiti ad un
universo superiore nascosto alla vista degli uomini comuni. Elementi della
natura come pietre, fiori ed animali sono raccolti, catalogati e spiegati in lapidari, fiorari e bestiari.
Il linguaggio simbolico delle raffigurazioni, complesso e
misterioso, trae ispirazione dai testi biblici e dei Padri della Chiesa, ma
anche dalla tradizione classica e dalle credenze popolari.
Come scriveva Alano da Lilla nel XII secolo: «Ogni creatura
del mondo funge per noi da specchio della nostra vita, della nostra morte,
della nostra condizione ed è segno fedele della nostra sorte» Segni ed elementi
della natura servono quindi per parlare delle cose celesti.
Così quello che viene raffigurato ha un significato più
profondo.
Ma quale sarà il significato di questo strano animale? E
quale sarà il suo nome?
Difficile da dirsi, posso solo aggiungere che, tutti i bambini che passano davanti a quel piatto inventano un nome, e fra tutti quelli che ho sentito, POLPOIATTTOLO è quello che più mi è sembrato richiamare le caratteristiche del simpatico animaletto raffigurato.
Alessio Ferrari

La fornace delle mura
#paesaggioceramicamontelupo
La fornace Cioni-Alderighi è un edificio addossato a quelle mura trecentesche, che un tempo avevano difeso il borgo di Montelupo sulla confluenza del fiume Pesa, quelle stesse mura turrite più volte rappresentate da Leonardo da Vinci.
Si
racconta che la fornace sia stata costruita nell’Ottocento per la lavorazione
di scaldini e di catini schizzati con la ramina. Una produzione di pentolame in
terra rossa a cui fu affidato l’arduo compito del perpetuarsi di una tradizione
artigianale. La fornace negli anni Venti del Novecento ospitò la ditta di Carlo
Alderghi, nato a Montelupo nel 1869, il quale aveva affiancato alla produzione
e commercializzazione di paglia per cappelli e truciolo–avviata sulle orme del
padre Serafino -, quella delle stoviglie nell’edificio di via Giro delle Mura,
dove nell’agosto del 1929 lavoravano dieci operai spartiti tra stovigliai e
pagliaroli, per poi proseguire nella lavorazione delle sole terrecotte.
Nell’immediato
dopo guerra la fornace Alderighi venne acquisita dai Cioni, che avevano
trasferito l’attività da Montespertoli a Montelupo nel 1946 e qui, l’anno
successivo, avviarono la produzione della Ditta
Dino Cioni, Fabbrica di maioliche artistiche e commerciali. L’inclinazione
stilistica si palesò subito nella scelta di rilevare parte degli strumenti,
forme e campionari di un'altra importante ditta montelupina la “Gianni e
Piatti” poi “Gianni Italo”, che da poco aveva chiuso i battenti, e di avvalersi
della collaborazione di valenti pittori ceramisti locali, tra i quali Bruno di
Virgilio Mangani, che collaborò con la ditta Cioni ai sui albori. Ecco i
presupposti che hanno delineato l’indirizzo stilistico del campionario ispirato
ai repertori decorativi più tradizionali: dal graffiato floreale all’istoriato,
ai decori più comuni come a “grottesca” o “raffaellesca”, “ticchiolo”, “gallo
Pito” e ancora ad armigeri o idilli campestri.
La
gestione familiare ad indirizzo artigianale adottata dai Cioni per
cinquant’anni, ha salvaguardato la fornace da mutamenti di industrializzazione.
Ha permesso di mantenere, sino al termine dell’attività nel 1998, l’uso di un
forno a legna, affiancato da un piccolo forno a muffola per la cottura di pezzi
in oro e, solo in anni più recenti, da un forno a gas.
Ho
avuto la fortuna di visitare la manifattura poco prima che scomparissero
completamente le tracce dell’attività. Ho attraversato passaggi buoi e ariose
stanze dagli intonaci screpolati e gremiti di fitti scaffali e, di colpo,
davanti agli occhi una folla di vasellame in biscotto e, poco più in là, di
pezzi completati in attesa dell’acquirente. Ricordo il reparto dei tornianti e
formatori al piano terreno, dove vicino a una stufa in ghisa, alimentata a
carbone, erano ancora accatastati alcuni stampi, sui ripiani e a terra
allineati con precisione numerosi pezzi in biscotto. Di lato la scala d’accesso
al reparto dei pittori mostrava alle pareti tante piattelle decorative e sulla
sua destra ancora ripiani affollati di manufatti dalle diverse fogge. Infine si
giungeva alla fornace, dove un tempo la fiamma lambiva i manufatti. Tutto
sembrava, e sembra ancora nella memoria, un nostalgico reperto archeologico,
che gli anneriti e fuligginosi mattoni rendevano più misterioso. In
quell’occasione il fotografo Massimo Listri, che mi accompagnava, realizzò
alcuni scatti che furono pubblicati nella rivista AD. Di quella visita, oltre a
questa inconsueta documentazione, mi rimane indelebile la melanconica visione:
nel silenzio e nel sottile fascio di sole che irrompeva l’oscurità
dell’ambiente, il volteggiare del pulviscolo sembrava essere l’unico superstite
della lunga storia di uomini e di lavoro che aveva animato questo luogo.
Oggi,
dopo molti anni, ci si appresta ad ultimare il recupero del complesso
architettonico con la sua apertura al pubblico, quale ideale
collegamento fra il Palazzo Podestarile e il MMAB, polo culturale della città.
Marina
Vignozzi Paszkowski
-
Ditta Dino Cioni, Foto Massimo Listri in AD Country suppl. n. 229, giugno 2000 -
Ditta Dino Cioni, Foto Alessio Ferrari -
Vaso con decoro floreale e uccellino -
Vasi decoro Gallo Pito, Serie di vasi e antipastiera decoro a raffaellesca -
Decoratori Boris e Bruno Mangani, 1948-50
Una sfinge a Montelupo
#montelupoarcheologia
Il Museo Archeologico di Montelupo serba una sorpresa per gli appassionati di archeologia e di immagini misteriose antiche. Appena il Museo tornerà accessibile al pubblico, accoglierà nei suoi spazi una delle figure più enigmatiche e affascinanti del passato, la Sfinge.
La presenza della scultura etrusca in pietra vulcanica,
recentemente scoperta all’ingresso di un'imponente tomba a camera ipogea della
città di Vulci – potente metropoli tirrenica al confine fra Toscana e Lazio –,
sarà l’occasione per conoscere e approfondire l’immaginario funerario etrusco,
popolato da mostri e da belve fantastiche che l’uomo (o meglio la sua anima) doveva
incontrare nel suo ultimo viaggio verso la terra dei beati.
Le
eccezionali dimensioni del dromos (ingresso) della Tomba
della Sfinge, lungo 28 metri, tramite
il quale si accedeva al vestibolo e alle camere funerarie, testimoniano
l'importanza dell'aristocratica famiglia che qui seppelliva i suoi membri. La sfinge alata risale all’età arcaica (VI secolo a.C.) ed è
paragonabile ad altre ritrovate in Etruria presso le sepolture più importanti,
spesso dei tumuli funerari, dove queste sculture venivano collocate come
simbolo dell’aldilà e come protezione dei defunti.
L’impiego
della statuaria in nenfro o in altre pietre di origine vulcanica nell’apparato
decorativo delle necropoli di Vulci, a partire dal 600 a.C., non ha equivalenti
in altre zone dell’Etruria. Nel territorio vulcente si è infatti sviluppata una
vera e propria tradizione, che ha dato vita a una fiorente attività
specialistica proseguita, senza soluzione di continuità, per quasi un secolo. A
queste sculture che riproducono soprattutto sfingi, leoni, pantere, arieti,
centauri e mostri marini, era demandato il compito di proiettare il monumento
in un contesto ultra-terreno e di vegliare sulla pace dei morti da eventuali
turbative della quiete.
L’origine
della figura mitica della Sfinge va ricercata in Grecia, dove compare nel mito
di Edipo. La Sfinge, testa di donna, corpo di leone, coda di serpente e ali di
aquila, venne inviata da Era a Tebe per punire la città, colpevole di tollerare
il rapimento del fanciullo Crisippo da parte del re Laio. Stando accovacciato
sul monte Ficio, nei pressi della città, il mostro poneva a ogni viaggiatore il
celebre indovinello: “Quale essere con una sola voce ha talvolta due gambe,
talvolta tre ed è tanto più debole quante più ne ha?”. Chi non riusciva a
risolvere l’enigma era strangolato e divorato sul posto. Solo Edipo rispose
esattamente “È l’uomo”. La Sfinge, avvilita per la sconfitta, si gettò giù dal
monte e i Tebani grati ed esultanti acclamarono
re Edipo.

La
mostra - organizzata in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia
Belle Arti Paesaggio dell‘Etruria Meridionale e il Parco
Archeologico-Naturalistico di Vulci - racconta gli attimi della scoperta e la
funzione della scultura posta sulla tomba, oltre alla suggestiva iconografia
del mostro fantastico diffusa nell’arte etrusca.
All’esposizione si collegheranno visite didattiche incentrate sul tema della sfinge e degli esseri sovrannaturali etruschi.
Alessandro Mandolesi
Biciclette, di Eugenio Taccini
#cantieremontelupo
In questi anni Montelupo ha ospitato molti artisti, progettisti e designer, proseguendo il dialogo tra storia e contemporaneità, visione e produzione, creatività e curiosità che sono nel dna di ogni ceramista montelupino. Sono stati progetti importanti, sfide avvincenti che hanno arricchito il patrimonio culturale e professionale del territorio. Ogni progetto ha lasciato la propria eredità, formale o culturale, e tracce visibili negli spazi cittadini, nei documentari, nelle belle pubblicazioni editoriali del museo, nelle collezioni e nello stile della ceramica di Montelupo. Nelle amicizie, che vanno oltre i progetti. Ci piace avviare questo racconto dei nostri Cantieri d'Arte, che hanno incontrato moltissime persone, luoghi, botteghe e itinerari, con quello che è, ancora, probabilmente, il progetto più amato dalla città di Montelupo. Nel 2014, il Museo ha chiesto ad Eugenio Taccini di progettare un'opera per la città. Con Officina d'Arte, idee tecniche ed artigiani in viaggio nasce un Cantiere, diretto da Taccini, che ha lavorato con e per Montelupo, con la partecipazione degli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Firenze e di molte aziende del territorio. Un bel gruppo, affiatato e operoso, che ha seguito Eugenio nella sua idea, portata avanti con la collaborazione preziosa di Matteo Bertini. Mesi di lavoro, di progettazione e produzione per poi arrivare ad inaugurare l'opera collettiva, Biciclette, durante l'edizione 2014 di Cèramica e una mostra, con la partecipazione di Marco Bagnoli, nell'autunno dello stesso anno. Eugenio ha trasferito in questo progetto tutta la sua sensibilità, le esperienze artistiche e le numerose esperienze di relazioni internazionali: “solo viaggiando e confrontandosi con gli altri possiamo apprendere e incrementare le nostre conoscenze, la cultura è prima di tutto scambio”. L’ispirazione per l’opera è arrivata da uno dei decori tipici della ceramica di Montelupo, gli Arlecchini, trasformati in viaggiatori e ambasciatori della ceramica di Montelupo. Con Biciclette Eugenio Taccini e i suoi allievi hanno realizzato quindici figure ad altezza naturale a cavallo di vere biciclette, quasi a suggerire una commistione fra realtà e fantasia, fra arte e vita di tutti i giorni. Nelle ore precedenti l'inaugurazione Eugenio era ancora lì, per strada, a completare le sue Biciclette con i ragazzi e gli artigiani, ma anche con i negozianti del borgo e gli abitanti, che accorrevano a dare una mano. C'era anche Dario Vignozzi, nella sua ultima festa della ceramica. Oggi, dopo qualche incidente e varie fasi di restauro, l'opera ci accoglie all'uscita della SCG Firenze Pisa Livorno ed è ormai uno dei simboli della città. Nata dal senso di appartenenza, dall'intelligenza delle mani unita alla visione di un viaggio.
Benedetta Falteri
Sarà un caso?
#collezionemontelupo
Fra le tante maioliche che il Museo di Montelupo conserva ed
espone, vorrei cominciare il nostro viaggio da questo frammento. Si tratta di
un frammento di piatto che la centro è decorato con la rappresentazione della
“Temperanza” una delle quattro virtù cardinali, virtù che in questo tempo ci
sembra indispensabile oltre, naturalmente, alla “pazienza”
La temperanza, intesa come la capacità di moderare, di avere una “giusta misura” viene spesso rappresentata come una giovane donna nell’atto di miscelare l’acqua calda insieme a quella fredda, proprio per ottenere una miscela gradevole.

Il frammento di piatto, si può datare stilisticamente attorno
al 1470-80, proviene da un recupero nel centro storico, ed il decoro sulla
fascia è del tipo a damaschino policromo, ed ha uno sviluppo non troppo comune,
infatti il pittore ha realizzato una raggiera che partendo dal centro va verso
il bordo del piatto, i cui raggi si sovrappongano e si alternano nei colori
bruno e blu.

Le parti, vicine al bordo,
lasciate libere dai raggi, sono riempite con una puntinatura ed una
macchia blu che ha l’intensità della “zaffera”.
Il bordo del piatto è chiuso da una cerchiatura esterna in
blu a cui se ne accosta una gialla più interna.
Nel periodo in cui il piatto è stato realizzato, si iniziava
a diffondere il gioco dei tarocchi, di cui uno degli arcani maggiori è proprio
la temperanza, che anche qui veniva
rappresentata come una giovane donna nell’atto di miscelare insieme acqua calda
e fredda. Nei tarocchi però la giovane sembra più un angelo, infatti ha quasi
sempre le ali, e le due brocche con l’acqua sono sempre in basso.
Come si può vedere nei
due esempi qui riportati
In uno dei mazzi più antichi pervenutoci, quello cosiddetto di Carlo VI, c’è però la figura della temperanza che sembra fare da modello alla rappresentazione del vasaio montelupino, la giovane donna ha lo stesso copricapo, e le brocca è posta in alto. Anche il tipo di brocca appare simile. Peccato che il piatto non sia stato ritrovato nella sua interezza, e non ci permetta di ammirare l’opera dello sconosciuto pittore in tutta la sua bellezza.
Carlo VI, c’è però la figura della temperanza che sembra fare da modello alla rappresentazione del vasaio montelupino, la giovane donna ha lo stesso copricapo, e le brocca è posta in alto. Anche il tipo di brocca appare simile. Peccato che il piatto non sia stato ritrovato nella sua interezza, e non ci permetta di ammirare l’opera dello sconosciuto pittore in tutta la sua bellezza.
Alessio Ferrari

Nedo Scappini, over 90
#vitediceramicamontelupo

Ceramista, figlio d'arte, di lunga tradizione “capraina”. Ha attraversato epoche ceramiche diverse, a partire da quando le fornaci “andavano” a legna e a “fastella” di cui conosce e si ricorda, con la precisione e il rigore che lo contraddistinguono in ogni cosa, perfino le varie essenze necessarie per cotture di manufatti diversi, le pezzature della “catasta” e perfino la diversa composizione degli strati delle fastella, sapientemente composte e assemblate per l'innesco o per il ravvivamento del fuoco nei vari settori della camera di combustione. Era l'epoca in cui il personaggio più importante della fabbrica era il fornaciaio anche se il più famoso era, come sempre, il pittore. E lui, appunto, aveva il dono di saper disegnare e su quello costruì la sua lunga carriera lavorativa. Diventò il braccio progettuale di Demetrio Fanciullacci, il creativo della più importante manifattura ceramica di Montelupo, la seconda generazione dei fratelli Fanciullacci “esuli” da Doccia, prima a Capraia e poi a Montelupo dopo il “divorzio” dal Marchese Ginori. In questo luogo, oggi ingiustamente maltrattato da Montelupo, nel 1913 era rinata la maiolica di Montelupo dopo almeno 170 anni di terracotta e ceramica invetriata con il piombo o con smalti poverissimi.
Nedo Scappini, già all'inizio degli anni
'50 del Novecento, inizia a svolgere quella particolare funzione che sarà il
cardine di ogni azienda della seconda metà del Novecento, quella del
“Campionarista”. Disegno della forma, scelta del rivestimento, disegno del
decoro e realizzazione del prototipo o “campione”. E' il ruolo “domestico” che
poi migrerà all'esterno in forma di professione autonoma e certo più complessa
che oggi si chiama designer.
Il suo “allenatore” fu, appunto, Demetrio,
l'artista di casa degli “ormai cugini” Fanciullacci, che, sapendo modellare ma
non disegnare, aveva bisogno della sua mano per tradurre le idee in immagini da
mostrare ai clienti, soprattutto quelli nuovi, gli americani.
Su questo nuovo terreno di gioco d'oltre
oceano, Demetrio e Nedo si intendono presto e , insieme, si trovano ad
affrontare due fuochi opposti. Da una parte le richieste “eretiche” di un
mercato di un popolo che vive in modo molto diverso dagli italiani di allora.
Dall'altra la Proprietà e le maestranze che ragionavano come nel secolo
precedente o almeno come all'origine di quella Manifattura. Ma i due ce la
fanno e ce la fanno così bene che vengono copiati dagli altri concorrenti
minori. Poi però il nostro “campionarista”, grazie anche al contatto frequente
con i clienti americani e con qualche loro colto accompagnatore, grazie alle
frequentazioni continue di mostre di arte e di ceramica, aveva affinato non
solo le capacità tecnico esecutive ma aveva maturato anche la conoscenza e la
sensibilità per interpretare il gusto dei compratori e per realizzare nuovi
“modelli” e “campioni”. E lo Scappini, “scappa”via e insieme ad altri dà vita
al Nuovo Rinascimento, una delle nuove manifatture nate proprio per “talea”,
vere e proprie costole di una casa madre. Prima la Fanciullacci, poi, con
analogo meccanismo, la Bitossi.
Questo secondo periodo della vita di Nedo,
come per l'Italia di quel tempo, il ventennio degli anni sessanta e settanta, è
storia di sviluppo, di crescita veloce e di successi. E' una ceramica attuale,
che incontra il gusto della clientela internazionale che vi riconosce il “modo
italiano di vivere” che intanto aveva conquistato il mondo, complici le canzoni
e il cinema, il turismo del cibo e del buon vivere. Era nato il made in Italy.
Erano prodotti realizzati con un processo ancora fortemente artigianale ma con
livelli crescenti di meccanizzazione e con materiali ormai prodotti da
fornitori industriali e non da un ciclo interno inevitabilmente più rudimentale
e limitato.
In quegli anni poi, grazie ad una serie
notevole di innovazioni, fare ceramica, pur rimanendo, come oggi, un'impresa ad
alto rischio di insuccesso, è diventata meno rischiosa soprattutto perché i
forni e i combustibili sono passati rapidamente dalla legna agli oli
combustibili, poi al metano e perfino all'energia elettrica per certe
lavorazioni più preziose, di nicchia. Per i forni poi non c'è più nessuna
somiglianza tra le vecchie fornaci a legna e quei lunghi serpenti a tunnel o a
canale che dir si voglia che ingoiano in maniera continua il lavoro del
ceramista dalla bocca e lo fanno uscire dal...... Era così anche al Nuovo
Rinascimento.
Ma ogni annata ha più stagioni e dopo la
primavera delle fioriture e l'estate dei raccolti arrivano sempre l'autunno e
poi l'inverno, almeno così è stato finora.
Anche il ventennio d'oro finisce
nell'autunno degli anni '80 e poi nel lungo inverno che dura tutt'oggi. Nedo
Scappini quindi, insieme agli altri soci deve chiudere il Nuovo Rinascimento e
lo fa da galantuomo, senza sacrificare nessuno e pagando di persona.
Continua quindi la sua professione di
decoratore sperimentando anche il settore del mobile e dell'antiquariato. Da
questa esperienza nasce uno degli insegnamenti di Nedo ai suoi allievi: un
pittore ceramista è in grado di posare il pennello su qualunque materiale, sarà
comunque più facile. E questo ha importanti conseguenze sulle possibilità di lavoro
del decoratore stesso. Poi però prevale il “richiamo” della fabbrica, la
manifattura ceramica dove l'aria ha l'odore di sempre, quello di casa.
Collabora in maniera continua con altre aziende per realizzare oggetti di alto
pregio e di dimensioni non correnti, con le difficilissime decorazioni “a
Urbino” a “Raffaellesca” , “istoriati” con soggetti biblici o mitologici,
diventando anche scenografo per nuove storie e ambientazioni. Il “linguaggio”
che aveva ammirato fin da piccolo negli inarrivabili maestri dell'aristocrazia
pittorica di Montelupo, ora era finalmente suo, ormai libero dalla schiavitù
della produzione di massa quando doveva dar da mangiare al serpente a tunnel
per riempire vagoni e container ogni settimana.
Quando infine questo impegno professionale
nella fabbrica si fa più leggero, complice anche lo zampino dell'inesorabile
Anagrafe, Nedo ci fa un altro regalo.
A casa sua, nella bella casa di Sammontana,
ogni settimana, per molti anni, dà vita all'Accademia del Disegno e della
Pittura per insegnare ai giovani con generosità e in maniera completamente
gratuita i “segreti” della sua maestria, segno di un uomo che ha dato un senso
alla sua vita, che ha capito e ha accettato di vivere in armonia con il tempo
della sua esistenza.
E noi ringraziamo il Maestro Nedo Scappini per il suo contributo all'economia della ceramica, all'arte ceramica e per il suo insegnamento di vita.
Paolo Pinelli
Montelupo, Città della Ceramica
#paesaggioceramicamontelupo
La zona di Montelupo, per la sua particolare posizione nel medio Valdarno, ha sempre avuto un ruolo strategico dal punto di vista economico e di collegamento fra la costa tirrenica e la piana di Firenze, città che ha manifestato presto un acceso interesse verso questo tratto dell’Arno.

Il colle di Montelupo, affacciato sulla riva sinistra
del fiume, alla confluenza con il torrente Pesa (via di penetrazione verso il
Chianti), dopo essere stato conteso fra diversi poteri feudali, fu conquistato
e fortificato dai Fiorentini agli inizi del Duecento, popolandolo con fedelissimi
provenienti dal territorio circostante.
Da subito Montelupo inizia a produrre maiolica tardo-medievale, e all’inizio del Quattrocento le attività ceramiche locali ricevono un forte impulso grazie alla conquista fiorentina di Pisa, che apre finalmente a Firenze la via del mare. Trovandosi proprio sul corso dell’Arno, in direzione del Tirreno, le fornaci di Montelupo - che si concentravano nell’area del borgo che si distende fra il castello e la sponda dell’Arno - sfruttano la posizione privilegiata che permette loro di produrre e di trasferire immediatamente le ceramiche verso i porti marittimi, grazie al supporto di un’efficiente navigazione fluviale. Le ceramiche venivano infatti caricate su piccole barche, dette scafe o navicelli, che scendevano la corrente del fiume fino a Pisa e Livorno, per poi salpare verso terre lontane. Così le ceramiche di Montelupo entrano da protagoniste nel mercato internazionale gestito dalle casate fiorentine, in piena espansione fra Quattro e Cinquecento. Ne consegue che il capitale mercantile gigliato favorisca lo sviluppo dell’arte ceramica, concentrando proprio su Montelupo i massimi sforzi produttivi.
Nella seconda metà del Seicento Montelupo risente
della crisi economica che colpisce il Granducato e l’area mediterranea in
generale: una crisi che avvolge l’intera filiera ceramica e che porterà alla
scomparsa di molte fornaci, lasciando spazio alle manifatture minori come il
pentolame da cucina e le terrecotte. Dovranno passare quasi due secoli per
rivedere Montelupo brillare nel firmamento della grande ceramica, grazie a
ritrovate condizioni economiche che favoriscono la lavorazione della maiolica,
sviluppata in particolare dalla famiglia Fanciullacci e in seguito da Bitossi.
Oggi Montelupo lavora per esaltare tutte le valenze
culturali e paesaggistiche del suo territorio. L’obiettivo è quello di
promuovere da un lato i luoghi direttamente connessi alla ceramica, sia storici
che contemporanei, dall’altro lo scenario in cui tale esperienza si è maturata,
ovvero il “paesaggio ceramico” incardinato sull’asse Castello-Borgo-Arno.
Attualmente il Palazzo Podestarile, prima sede comunale e anche museale, poi
destinata alle esposizioni temporanee, soprattutto in occasione della festa
Cèramica, è un elegante edificio del XIV secolo situato nel cuore del borgo -
sulla via che sale al Castello, toccando il Pozzo dei Lavatoi e la Casa di
Baccio - e subito accanto alla Pieve di San Giovanni Evangelista che ospita una
bella pala della bottega del Botticelli.
In questo scenario, Montelupo ha accolto negli anni importanti artisti italiani e internazionali che usano la ceramica o che hanno particolare sensibilità verso i materiali modellabili. In Montelupo è allestita una diffusa rassegna di opere ceramiche site specific, una vera e propria mostra all’aperto che invita lo spettatore a uscire dal museo e a visitare non solo le opere, ma anche i luoghi stessi della produzione ceramica: soprattutto le botteghe ceramiche che continuano a produrre sul solco della tradizione montelupina e che adottano artisti, progettisti, designer, con i quali dare insieme vita a opere di grande fascino contemporaneo.
Alessandro Mandolesi

Dis/chiuso
Dis|chiuso è il blog che vi racconta storie,
esperienze e progetti sulla ceramica di Montelupo, del passato e del presente,
con uno sguardo al futuro.
Una serie di rubriche rivela notizie e
propositi dietro le quinte della nostra organizzazione, a partire dal ruolo
storico di grande protagonista nella produzione toscana fino alla diffusione
nel mondo delle ceramiche montelupine, dalla conoscenza degli attuali artigiani
alla loro preziosa interazione con l'arte contemporanea e il design. Proviamo a
tenervi compagnia ricordando le edizioni di Cèramica, i Cantieri d'Arte, le
nostre pubblicazioni e tutto il bello di questo territorio e delle sue
capacità.
In questa difficile situazione Montelupo non si ferma e, in attesa della riapertura dei musei e della possibilità di organizzare nuove mostre e eventi importanti, attiva questa modalità fruibile da casa e che consente di rimanere in contatto virtuale con la nostra cultura e arte ceramica.
Rubriche:
Collezioni museali #collezionemontelupo
Il Parco della ceramica #paesaggioceramicamontelupo
Ceramica di Montelupo nel mondo #monteluponelmondo
Cantieri d’Arte, contemporaneità #cantieremontelupo
Protagonisti della ceramica #vitediceramicamontelupo
Progetti in cantiere #orizzontimontelupo
Archeologia a Montelupo #archeologiamontelupo

Coronavirus: Annullati gli eventi a Montelupo Fiorentino.
Dopo la pubblicazione ufficiale del decreto del Presidente del Consiglio sono stati annullati tutti gli eventi previsti a Montelupo Fiorentino nel mese di Marzo 2020.
Vediamoli nel dettaglio
Salta lo spettacolo previsto al MMAB per il 12 marzo.
M’illumino di Meno
Rassegna DECLINAZIONI FEMMINILI
Lo spettacolo DONNE GUERRIERE previsto per il 14 marzo viene rimandato.
Il comune sta concordando con gli artisti ed Empoli Jazz una possibile data nei prossimi mesi. Sarà comunicata nei prossimi giorni unitamente alle modalità con cui chi lo desidera potrà richiedere il rimborso del biglietto (altrimenti quello acquistato rimane valido per la data futura).
Rimandati a nuova data anche due incontri, quello del 21 marzo dedicato al tema del lavoro con Donatella Allori e quello del 2 aprile incentrato sui consultori territoriali.
Sarà rimandata a data da definire anche la manifestazione MONTELUPO IN FIORE, promossa dal centro commerciale naturale Il borgo degli Arlecchini assieme a tutte le iniziative collaterali.
Anche in questo caso a breve sarà comunicata la nuova data.
Annullati tutti gli appuntamenti previsti al MMAB.
- I mercoledì del MMAB organizzati dall’associazione AUSER
- La presentazione del libro “Storia culturale della canzone italiana” previsto per il 5 marzo
- I favolosi venerdì del MMAB del 6 – 13 – 20 – 27 marzo
- Pensieri a tavola
- Il laboratorio musicale per bambini del 28 marzo.