Il centro per i più piccoli

Presso l'Info Point di Montelupo Fiorentino | Corso G.Garibaldi, 34

Giovedì 9, 16, 23 e 30 luglio - 6, 13, 20 e 27 agosto
Ore 17,30 - 18,15 - 19,00

Manipolare l'argilla
Il laboratorio didattico è preceduto da una breve introduzione storica sulla maiolica di Montelupo e sulla sua tecnologia. Segue un corso di manipolazione dell’argilla, in cui i partecipanti sperimenteranno con le proprie mani, sotto la guida di personale esperto, le tecniche di base per la realizzazione di varie forme della ceramica montelupina.

Venerdì 10, 17, 24 e 31 luglio - 7, 14, 21 e 28 agosto
Ore 17 ,30 - 18,15 - 19,00

Hands on. Linee interrotte – Laboratorio di restauro creativo
Ceramica che passione! Ricostruisci parte delle opere del Museo di Montelupo ed entra nel mondo dell'archeologia, tra storia e mistero.

Sabato 11, 18 e 25 luglio - 8, 22 e  29 agosto
Ore 17,30 - 18,15 - 19,00

Quel genio di... Picasso
Vieni a scoprire la storia dell'arte cubista e decora il tuo piatto con le famose forme geometriche di Picasso.

Domenica 12, 19 e 26 luglio - 2, 9, 23 e 30 agosto
Ore 17,30 - 18,15 - 19,00

La Villa dei desideri
Laboratorio–gioco sul tema della Villa medicea dell'Ambrogiana: racconteremo la sua straordinaria storia e ci immagineremo insieme cosa potrà diventare in futuro.

Costo a bambino 4 euro - Età dai 6 a 11 anni
Prenotazione obbligatoria +39 0571 1590300 - info@museomontelupo.it (Max 7 partecipanti a gruppo)


Iniziative Museo

COMUNICATO STAMPA

Dall’8 luglio tante iniziative per animare il centro di Montelupo


Protagonista la ceramica con tour della città e laboratori per bambini. Un’estate raccontata in diretta anche sulle frequenze di Radio Lady

È un’estate anomala quella che stiamo vivendo in bilico fra il bisogno di socialità e la necessità di tutelare la propria salute e mantenere le distanze.

Una situazione che inevitabilmente danneggia il commercio e la ristorazione.
Il Comune di Montelupo ha lanciato il progetto MONTELUPO DI FUORI, con la possibilità di estendersi su aree pubbliche senza dover pagare la COSAP e un’apposita campagna di comunicazione.

Parallelamente sono state studiati alcuni interventi di animazione e valorizzazione del centro che hanno a che fare con il prodotto tipico della città.

Cèramica 2020 è saltata, ma questa non sarà
comunque un’estate senza ceramica, grazie ad un programma di mostre, visite
guidate e laboratori per bambini studiati dalla Fondazione Museo Montelupo.

> Mostra diffusa delle collezioni moderne e contemporanee del
Museo della Ceramica.
Un percorso espositivo delle
collezioni moderne e contemporanee del Museo della Ceramica che interesserà la
Galleria Fabbrica Creativa Toscana di Via XX Settembre. Saranno esposte opere
donate da artisti e opere realizzate durante le esperienze di residenza
artistica degli ultimi anni.

Due le sezioni in cui si articola il percorso di visita: “Pillole del Novecento” con opere di Ettore Sottsass, Aldo Londi, Bruno Bagnoli, Silvano Dolfi, Sergio Pucci, Bruno Cini, Beppe Serafini, Fernando Farulli; e “Cantiere Montelupo” con opere di artisti e designer contemporanei che hanno lavorato o collaborato con Montelupo Fiorentino o ai quali il Museo ha dedicato mostre e progetti dal 2008 al 2019, come Nanni Valentini, Alessio Tasca, Alfredo Gioventù, Khaled Ben Slimane, Beppe Domenici, Fabrizio Plessi, Marco Ulivieri, Thomas Lange, Michele Guido, Lorenza Boisi, Ludovica Gioscia, Francesco Simeti, Nicola Toffolini, Maddalena Casadei, Andrea Salvatori, Sabrina Mezzaqui, Salvatore Arancio, T Yong Chung, Luca Vanni,  Matteo Cibic, Chiara Camoni, Alessandro Roma.

L’ingresso è gratuito con una capienza massima 15 persone per turno, dal giovedì alle domenica. Dalle 19.00 alle 22.00 a partire da mercoledì 8 luglio.

> Nei fondi del centro storico e nelle vetrine dei negozi si terrà una mostra diffusa delle manifatture della Strada della Ceramica di Montelupo.


> Il Museo della Ceramica sarà aperto il lunedì pomeriggio (14.00 – 19.00) e dal martedì alla domenica (10.00 – 19.00) e tutti i sabati proporrà percorsi di visita speciali

Sabato 11, 18 e 25 luglio e 1, 8, 22 e 29 agosto alle ore 17.00 il Museo della Ceramica dà appuntamento per scoprire le atmosfere delle sue collezioni storiche e per incontrare un ceramista montelupino, che racconterà dal vivo i segreti dell'argilla e delle sue tradizionali decorazioni. Un percorso che attraversa nove secoli fra colori e curiosità di storia e di società fiorentina. La visita potrà proseguire autonomamente nel Borgo di Montelupo, dove l'impianto trecentesco ospita un suggestivo itinerario fra scorci architettonici e creazioni d'arte contemporanea di grandi maestri impegnati nella lavorazione ceramica.

Il costo è di 10 euro a partecipante; è
necessaria la prenotazione per telefono al numero 0571
1590300
o per mail info@museomontelupo.it

Dal 16 luglio il Museo della Ceramica
ospiterà anche la mostra Visioni
d’Inferno
, con i pannelli in ceramica di Boris Mangani raffiguranti i canti
dell'Inferno dantesco.

> Il Centro per i più Piccoli (Info Point di Montelupo Fiorentino, corso G.Garibaldi, 34). Le famiglie e i bambini hanno sofferto gli effetti della chiusura totale e ancora oggi mancano proposte di intrattenimento pensate appositamente per loro. Nell’ambito delle attività di animazione sono state previste attività che si si svolgono dal giovedì alla domenica sia nel mese di luglio che in quello di agosto a partire dal 9 luglio con orario 17.30, 18.15 e 19.00.

Tutti i giovedì:  Manipolare l'argilla. Il laboratorio didattico è preceduto da una breve introduzione storica sulla maiolica di Montelupo e sulla sua tecnologia. Segue un corso di manipolazione dell’argilla, in cui i partecipanti sperimenteranno con le proprie mani, sotto la guida di personale esperto, le tecniche di base per la realizzazione di varie forme della ceramica montelupina.

Tutti i venerdì: Hands on. Linee interrotte - Laboratorio di restauro creativo Ceramica che passione! Ricostruisci le parti delle opere del Museo di Montelupo ed entra nel mondo dell'archeologia tra storia e mistero

Tutti i sabati:  Quel genio di... Picasso. Vieni a scoprire la storia dell'arte cubista e decora il tuo piatto con le famose forme geometriche di Picasso.

Tutte le domeniche:  La Villa dei desideri. Laboratorio–gioco sul tema della Villa medicea dell'Ambrogiana: racconteremo la sua straordinaria storia e ci immagineremo insieme cosa potrà diventare in futuro.

I laboratori sono pensati per bambini da 6 a 11 anni e hanno un costo di 4 euro a bambino. È obbligatoria la prenotazione: +39 0571 1590300 - info@museomontelupo.it

Le attività proposte nel Centro storico partiranno mercoledì 8 luglio. Per l’occasione, dalle 19.30 alle 21.30 è prevista una diretta da piazza della Libertà a cura di Radio Lady.

«Finalmente si parte! - esordisce così l’assessore alla cultura Aglaia Viviani – Mi riusciva difficile pensare ad un’estate completamente senza ceramica. La Fondazione, in piccolo e a corsa, è riuscita a proporre una programma di iniziative che dà valore al patrimonio della nostra città. Le aziende della ceramica così come tutti i settori stanno patendo le conseguenze della chiusura totale. Certo le mostre non apriranno occasioni di mercato, ma sono convinta che contribuiscano a rafforzare un senso di appartenenza che in questo momento fa veramente bene. Senza contare e di questo ne sono convinta, che sia indispensabile non cedere e lavorare per valorizzare costantemente la vocazione artistica della città»

Per l’assessore al commercio, Simone Focardi «Il programma presentato dalla Fondazione che porta laboratori per bambini, animazione, visite guidate e ceramica in centro storico si intreccia con la necessità del nostro tessuto commerciale di tornare a vivere. Queste iniziative sono solo alcune di quelle che abbiamo progettato per i prossimi mesi. Oltre alle dirette con Radio Lady, alla filodiffusione nel centro cittadino, a percorsi di trekking urbano, abbiamo progetto una campagna di video promozionali rivolti a tutti i negozi aderenti al Borgo degli Arlecchini».


Seriale ma non troppo

#collezionemontelupo

Eccoci di nuovo ad esplorare le collezioni di maioliche del
museo. Questa volta vorrei richiamare la vostra attenzione su un spetto un po
inconsueto, ma affascinante, che riguarda l’organizzazione del lavoro
all’interno delle fornaci rinascimentali.

Sul finire del XV secolo Montelupo era divenuto uno dei
centri di fabbrica più grandi dell’area del mediterraneo, tant’è che ceramiche
provenienti da queste fornaci si trovano in contesti risalenti a quell’epoca in
quasi tutto il mondo allora conosciuto. “Cocci” montelupini sono stati
rinvenuti anche sulle coste del nuovo mondo 
scoperto da Colombo appena pochi anni prima.

Niente avviene per caso, e nemmeno la crescita delle fornaci
montelupine si sottrae a questa regola. Le grandi famiglie di mercanti fiorentini,
intravedendo nel commercio della maiolica una buona possibilità di guadagno
hanno “investito” in questo luogo, e i vasai montelupini, forse stimolati dalle
richieste sempre più pressanti dei mercanti, hanno cercato soluzioni che
permettessero di trarre dal proprio lavoro un po’ più di guadagno.

I nostri vasai infatti nel periodo a cavallo fra i secoli XV
e XVI, svilupparono una grande quantità di motivi decorativi, che si prestavano
ad essere realizzate con un motivo di contorno, che una volta acquisita una
certa manualità, poteva essere eseguito anche dai “ragazzi di bottega”
lasciando al maestro il completamento delle parti più importanti e difficili
del pezzo.

Molte delle decorazione, poi, sono realizzate in modo quasi
seriale, e ad uno sguardo poco attento possono sembrano il risultati di colori
applicati sulle superfici con gesti sempre uguali, in modo da ottenere oggetti
uguali, appunto fabbricati in serie.  Se
guardiamo bene, vediamo invece che ogni pezzo è un “unicum” dove  c’è sempre un piccolo particolare che
distingue un piatto da un altro, un boccale da un altro.

Questa particolarità si ritrova anche in importanti forniture
per le istituzioni fiorentini, come per esempio la fornitura di orcioli ed
utelli per la spezieria di Santa Maria Novella. Chi avesse la voglia di
visitare il museo ospitato a Firenze presso la sede dell’antica spezieria in
via della Scala, troverà una serie di contenitori farmaceutici decorati a
grottesche, che formano un insieme omogeneo fatto, però di maioliche che si differenziano
una dall’altra per tanti particolari decorativi.

Ed ora, TROVATE LE DIFFERENZE!

Alessio Ferrari


Il segno del Podesta

#monteluponelmondo

Prosegue il
nostro viaggio alla scoperta delle più belle maioliche montelupine conservate
in collezioni pubbliche e private internazionali, opere di abili maestri che
hanno lavorato per le più importanti committenze fiorentine, e non solo.

Rimaniamo in terra di Francia, con un esemplare conservato al Museo Nazionale della Ceramica di Sèvres. ma cambiamo decisamente genere rispetto alla prima maiolica „straniera“ presentata sul nostro blog. Questa elegante targa murale è datata 4 gennaio 1478, ma un occhio attento osserva dipinto 1477 nello stile fiorentino detto "dell'incarnazione", ossia nell‘originale sistema cronologico  - citato nei documenti con la formula "ab incarnatione Domini" - che pone l'inizio dell'anno al concepimento di Cristo, cioè al 25 marzo, festa dell'Annunciazione. Quello fiorentino era certamente il più diffuso, e ritardava di due mesi e ventiquattro giorni il computo moderno (dal 31 dicembre al 25 marzo).

La nostra
targa si distingue per la particolare configurazione a "testa di
cavallo" (così viene infatti denominata), una forma araldica tipica del
tardo-quattrocento.

Nel
cartiglio in alto è riportato il nome di Nicola Corsini, che evidentemente
commissionò e poi collocò questa lastra in una composizione araldica allestita
in facciata o all'interno di un palazzo pubblico del Contado fiorentino.
Probabilmente proprio nel luogo ove esercitò le funzioni di governo, con la
carica di podestà o di vicario.

La targa
montelupina è fra le più antiche testimonianze di questo genere, a carattere
pubblico, caratterizzata dalla presenza di angeli reggistemma, con fitti
riempitivi stilizzati di gusto levantino a papavero oppiaceo. Delle figure
angeliche fluttuanti colpisce la tonalità in blu coibalto che dà forte consistenza
ai corpi, quasi innaturale. Qui il pittore spinge molto sulla volumetria, forse
perchè il pezzo doveva essere visto da una certa distanza. Al di là delle
tonalità e delle sfumature cromatiche, rimane la ricerca del tutto fiorentina
di un realismo pittorico nella raffigurazione - realizzata con la
"tavolozza fredda", una monocromia intervallata dall’impiego nelle
parti secondarie del verde, del bruno e del giallo che, fondendosi con
l’azzurro dominante creano un effetto in visione notturna -, in uno spazio
indefinito e senza tempo, che rende questi prodotti ancora di "sapore
medievale".

(Red.)


Il drago che non c'è

#collezionemontelupo

Eccoci ancora ad illustrare alcune delle tante maioliche che
costituiscono la collezione del nostro museo. Questa volta prenderemo in considerazione
un bellissimo piatto, fabbricato nelle fornaci montelupine a cavallo fra il
finire del XV secolo e l'inizio del secolo successivo.

Si tratta di un piatto dalle dimensioni notevoli, il cui
diametro massimo misura 34 cm.

La decorazione segue ormai i canoni rinascimentali, infatti
il piatto è diviso in due settori, uno dedicato alla decorazione centrale, e
l'altro per il decoro di contorno , separati da un un sottile filetto blu sulla
parte esterna, a cui si aggiunge a breve distanza,  un altro  filetto, ma questa volta più spesso, sempre in
blu.

La tipologia decorativa è quella detta “Armi e trofei”,
decoro elaborato dagli artefici montelupini, che bene si distingue dai decori
consimili di altri centri di fabbrica.

I vasai  montelupini,
hanno privilegiato la policromia, tralasciando la rigorosità della
rappresentazione grafica, ed hanno così trasformato una composizione di spade,
elmi, corazze e scudi, in un qualcosa di meno definito ma molto più colorato.
Gli scudi appaiono come delle macchie gialle bordate di rosso, con al centro un
ovale blu , che per quasi tre quarti è riempito dello stesso colore, mentre la
parte residua ha chiaramente il colore bianco dello smalto di fondo. Gli scudi
in numero di quattro, disposti sulla tesa del piatto, sono intercalati da
quattro ovali arancio delle stesse dimensioni. Gli ovali sono bordati di blu,
ed al centro portano un elmo realizzato in blu e manganese, che riempie quasi
tutto l'ovale.

La scena centrale presenta un cavaliere con elmo, armatura e
lancia, che su un cavallo bardato con finiture rosse, leggermente impennato.

La scena si svolge  su
di un prato,  lo spazio è poi delimitato
da due alberelli piuttosto esili, ed infini in alto è posto il blu del
cielo.  Sembra proprio la
rappresentazione di San Guiorgio, indfatti la tradizione popolare lo raffigura
come il cavaliere che affronta il drago, simbolo della fede intrepida che
trionfa sulla forza del maligno, solo che nel nostro piatto il drago non c'è, o
almeno, si vede un qualcosa di non molto definito, dove sparisce la punta della
lancia del cavaliere, che il drago lo fa intuire più che vedere.

A me piace pensare che il nostro pittore abbia inventato, per così dire, i “piatti a puntate”.

Forse il drago è sul piatto “successivo”, quasi che si
trattasse di un moderno fumetto in cui la storia si succede da una tavola a
quella successiva.

Alessio Ferrari


Eugenio Taccini, over 70

#vitediceramica

Nella
mia mente, più ancora che per altri personaggi, l'immagine di Eugenio Taccini è
disegnata con due inchiostri di diverso colore, uno per la persona, l'altro per
il ceramista. E sono entrambi ricordi molto cari, anche perché hanno il profumo
della mia giovinezza.

So
bene che un ritratto, anche se a memoria, dovrebbe iniziare da alcuni dati
biografici obbligati ma lascio ad altri questo fondamentale compito.

“Del
Taccini” ne devo parlare in altro modo. A mia discolpa c'è da dire che la
storia di questo maestro non è ancora entrata nell'Archivio della Memoria del
Centro Ceramico Sperimentale. Vediamo però se alla fine ne uscirà comunque un
bozzetto riconoscibile e “parlante”.

Eugenio,
ovunque abbia vissuto i suoi giorni – in fabbrica, in famiglia, nella sala da
ballo, nel partito, nell'Associazione Artigiani, in Comune, in bicicletta, a
giro per il mondo come ambasciatore dell'arte ceramica di Montelupo – è stato
un personaggio della commedia dell'arte, una maschera con il dono di far
coincidere l'attore-produttore con il personaggio-prodotto. Guardate i suoi
“Arlecchini”, ma anche gli oggetti e i soggetti degli ambienti del suo
figurato, sono esattamente come la sua mente vede la realtà. Tra i nostri
artigiani-artisti della ceramica è un caso veramente unico di identificazione
tra artista, opere e linguaggio. Nel lungo periodo degli “Arlecchini” Eugenio
si è sempre distinto perché i suoi soggetti – uomini, animali, cose e paesaggi
– assomigliavano a lui. Che differenza c'era tra i loro copricapi e la sua
copiosa capigliatura spesso lasciata in libertà? E il suo modo ampio e sciolto
anche se rapido e imprevedibile di muovere le braccia soprattutto se un po'
eccitato non assomigliano al gesto libero, sciolto e apparentemente casuale di
come si fa volare il pennello quando si dipingono i figurati di Montelupo? E i
discutibili – anatomicamente parlando – cavalli del figurato montelupino erano
davvero molto diversi dalla sua discutibile Citroën tenuta insieme dal nastro
adesivo, all'epoca new entry nella nostra quotidianità? Lo Scotch®, il nastro
adesivo per antonomasia, diventò lo strumento principe della sua innata
ingegnosità artigiana per risolvere ogni problema che non fosse legato alla
ceramica. E, credetemi, la 3M avrebbe fatto bene a studiare il caso; ne sarebbe
uscita una poderosa campagna di comunicazione pubblicitaria, tante e
incredibili erano le sue “trovate”. La sua Dyane era piena di “anime vuote” dei
rotoli finiti.

I
suoi “Arlecchini” non sono mai stati copie degli originali tardo
cinquecenteschi. Altri, molto meglio di lui, hanno fatto copie in grado anche
di ingannare antiquari e collezionisti che pure Eugenio conosceva bene, a
partire dal primo valorizzatore della ceramica di Montelupo - anche se definito
solo “contado di Firenze” - il grande Galeazzo Cora al quale, da “ragazzaccio”
sul Castello, vendeva i cocci – anche quelli degli “Arlecchini”- che
affioravano “a corbelli” sotto le verdure negli orti castellani.

In
quegli orti, appunto, gli “Arlecchini” incontrati da ragazzino diventarono una
multicolore “lente a contatto” attraverso la quale, da allora in poi, vide il
mondo, la gente, le cose, l'ambiente, la vita. Ecco perché l'Arlecchinese
diventò il suo personale idioma narrativo.

I
boccali, le tazzine da caffè e i posacenere per Christian Dior, i piatti, le
basi lampada e via ceramicando altro non erano che le tele su cui dipingeva
questo mondo interiore che aveva bisogno di non essere mai uguale e di volare
con tratto veloce e spontaneo, non importa se infedele ad ogni canone storico
ed estetico. Eugenio non ha mai fatto copie, è stato semmai un narratore di
storie a fumetti in “Arlecchinese”. A lui, purtroppo, è mancato – finora –
l'autore dei testi, delle storie, il narratore Goscinny che invece era stato il
partner artistico di Uderzo, il padre-disegnatore di Asterix e Obelix. Già,
altra coincidenza, l'abbondante ciuffo biondo del Taccini era uguale a quello
di Asterix!

Devo
dire che anche ad almeno un altro grande ceramista contemporaneo di Montelupo è
mancato un partner narratore che gli proponesse storie da ceramicare.

Che
dire poi del lungo periodo pinocchiesco e infine ciclistico? Guardate come
cammina, un po' anchilosato, a scatti morbidi, come un Pinocchio evoluto, già
nella fase di passaggio dal profumato legno di pino alla elastica ma meno
duratura carne umana.

Disegnatelo
come sta in bicicletta e farete un'illustrazione originale per la prossima  edizione del Collodi.

È
sempre lui, Pinocchio che non sopporta le regole e le prepotenze, Pinocchio che
viaggia e che cerca la vita fuori dalla realtà della sua casa, della bottega
del babbo, che fa tanti errori e poi li paga, Pinocchio che crede in cose che
poi si rivelano inganni, ideali bellissimi che poi si trasformano in cose
orribili. Ma questa è un po' la storia di molti di noi, simili a Pinocchio,
simili “al Taccini”.

Una
personalità complessa, allegro ma anche terribilmente serio, amichevole ma
anche tranchant, capace di passare da un registro all'altro con rapidità e
disarmante naturalezza.  Analisi profonde
e articolate che finiscono molto alla svelta in sintesi repentine, nette e
senza ambiguità, senza averci dato modo di arrivare preparati a quelle
conclusioni. Eugenio argomenta con la stessa rapidità con cui agisce un
commando in un blitz di guerra.

Certo,
per essere stato un militante di partito, un dirigente politico in
un'associazione imprenditoriale, un consigliere comunale, possiede anche la
capacità di arrotondare gli spigoli, altrimenti definita “capacità di
mediazione”. Ma questo appartiene più alla necessità che alla vocazione, più
alla forma che alla sostanza. Lo rivelano prima che le parole la sua
straordinaria mimica della faccia e del corpo quando lui cerca di mascherare il
suo pensiero prima che esca, irrimediabilmente, dalla bocca ma che mostrano la
sofferenza della tortura che in quel momento sta infliggendo a sé stesso.

Acerrimo
nemico dell'ordine, dell'esattezza e della rigida precisione, ha sempre corso
in “Formula zero” o meglio, in “Zero formule”, tanto che lui stesso con
riuscirebbe a dirvi la composizione di una delle infinite e sempre nuove
miscele di smalti, colori, cristalline, fondenti, pigmenti e chissà cos'altro,
che usa per realizzare i magnifici effetti delle superfici a spessore sulle
quali la luce può giocare libera sulle dune cangianti, mai uguali, come
un'aurora boreale. Non a caso Van Gogh!

Il
collante di tutte le facce umane, artistiche, sociali e professionali di questo
uomo-maschera-artista-ceramista è la sua libertà.

Come
poteva, così costruito, questo buon toscanaccio, sopportare una “società”?

“Le
società stanno bene in dispari, e tre son troppi”, figuriamoci in quattro! Come
poteva un cervello ribollente come il suo sottostare alla dura routine della
fabbrica? D'altro canto, come poteva una “ditta”,ingranaggio obbediente
dell'inesorabile orologio dell'economia di mercato, ammortizzare le
irregolarità di una rotellina ribelle? Come se in un orologio un ingranaggio
decidesse di prendersi una pausa o di girare all'incontro o una molla volesse
sgranchirsi le spirali un po' intorpidite. Questo, o per lo meno, anche questo
è Eugenio Taccini. Ve l'ho raccontato perché non si può comprendere
l'artista-ceramista e la sua opera se non si conosce, almeno un po', l'uomo.

Ho
chiesto a Eugenio di cimentarsi – oggi – con una nuova impresa, quella della consapevolezza
del suo linguaggio narrativo al fine di svilupparlo verso nuove estensioni, di
spiegarlo, di documentarlo e di trasmetterlo agli allievi nella nostra scuola
di ceramica che vuole essere “La Corale dei Ceramisti di Montelupo”. Maestri
che cantano in Ceramichese, la lingua più diffusa e antica della terra.

Ti aspettiamo alla scuola, Eugenio, come Testimone del nostro tempo e come Maestro di linguaggio e di espressione.

Paolo Pinelli


Il nobile "Quartone"

#monteluponelmondo

Molte maioliche montelupine, anche fra le più raffinate, sono conservate in diverse collezioni  pubbliche e private internazionali. Da Berlino a Parigi, da Città del Capo a New York, la ceramica montelupina d'interesse antiquariale ha, in qualche misura, raggiunto le stesse mete del passato, quando, grazie all’attività dei mercanti fiorentini del XV e XVI secolo, è stata una delle produzioni più esportate nel mondo allora conosciuto. Ed è innegabile che all’internazionalizzazione dell’immagine di Firenze, e delle sue grandi famiglie, abbia contribuito anche la diffusione della ceramica di Montelupo, con i suoi simboli e i suoi inconfondibili colori.

Con questa rubrica vogliamo
soffermarci su un'importante serie di maioliche prodotte a Montelupo in tempi
diversi, che oggi fanno bella vista nelle raccolte straniere, e che illustrano
le qualità artistiche raggiunte dalle maestranze affacciate sull'Arno.

Questo grande e colorato
boccale datato 1544, un "quartone" toscano, mostra lo stemma della
famiglia fiorentina dei Brandi; questo è fiancheggiato da due cornucopie
tipiche della decorazione "a grottesca", in gran voga nel XVI secolo.
La maiolica, conservata al Victoria and Albert Museum di Londra, è stata
evidentemente commissionata per esaltare l'insegna araldica della casata.
Rispetto al secolo precedente, nel pieno Cinquecento si ricerca una maggiore
esuberanza decorativa con l'ausilio di serrati ornati e di elementi accessori
(in questo caso la cornucopia), già dal sapore barocco, aspetto che finisce col
ridurre l'equilibrio della composizione araldica.

I "quarti" e i
"quartoni" sono le forme più grandi della tavola fiorentina, in
quanto avevano la capacità di contenere oltre sei litri nel cosiddetto
"gioco d'orcioli", ossia di un gruppo di sei boccali che, a iniziare
dal piccolo "quartuccio", comprendeva tutte le varianti dimensionali
del principale versatore da mensa. Il "gioco d'orcioli" si
distingueva per un decoro organico e raffinato, particolarmente adatto alle
forniture araldiche; il "quartone", in particolare, svolgeva un ruolo
dominante, ed era inteso come il pezzo più rappresentativo. Da qui l'idea per i
ceramisti di forzare la sua decorazione, con l'intento di renderla il più
possibile efficace a sottolineare l'insegna nobiliare.  

(Red.)


Ritratti a memoria: Fabrizio Coli

#vitediceramica

Fabrizio
Coli, pittore ceramista per mestiere – archeologo per passione – pittore
artista per espressione. La “Mamma” del Gruppo  
Archeologico Montelupo, la fiamma pilota che ha dato continuità nei
lunghi periodi di “stanca” alla ricerca archeologica a Montelupo...e dintorni.

Lui
non sarebbe mai figurato nel Pantheon dei ceramisti italiani per le sue opere
ceramiche, non faceva parte dell'aristocrazia del pennello, anzi di nessuna
aristocrazia. Dentro il suo aspetto da popolano abitava un uomo di rango a cui
Montelupo deve molto, anzi moltissimo. Se l'attività archeologica “volontaria”
a Montelupo, iniziata nel Marzo 1973 con il Pozzo dei Lavatoi , quattro anni
prima della nascita del Gruppo Archeologico, ha sempre avuto strade aperte da
parte delle autorità di tutela del patrimonio storico e archeologico è stato
anche perché lui era onesto, competente, perseverante e affidabile.

Onestà.
Provate oggi a cercare sul web, con un motore di ricerca, “archeologo per
passione”, vedrete, anche in questo 2020, un lungo elenco di denunciati per
possesso illecito di beni culturali (per legge di proprietà dello Stato). Il
“bonario” presidente era un severo custode dell'etica del bene pubblico che
inculcava a tutti appena si affacciavano alla porta. Mai un solo oggetto, di
poco pregio o di grande valore, è uscito da uno scavo o dal laboratorio del
Gruppo Archeologico di Montelupo.

Competenza.
Quanta polvere fece mangiare ai blasonati restauratori della
Soprintendenza  quando, insieme a Alberto
Forconi, mise a punto un sistema di montaggio dei frammenti su contro-forma
fatta al tornio e quando misero a punto la “veloce” catena di montaggio dei
frammenti di enormi scavi grazie ai loro criteri “da ceramisti” di selezione
dei frammenti di scavo dividendoli per materiali, tipologie ceramiche,
spessori, forme e decorazioni tipiche o atipiche, o quando sostituirono le cere
da restauro che “Firenze” non voleva dare! Così, anche così, ci si conquista il
rispetto, sul campo.

Perseveranza
e accettazione della fatica.Scavare è faticoso e, per la maggior parte
del tempo, deludente, finché la punta dell'attrezzo non scopre ...il tesoro. Si
perché per i puri di cuore, com'era lui e come tutti i “Gammisti”, ogni
frammento è un tesoro, anche i frammenti più piccoli, “le caccole”, come li
chiamava Fabrizio nella sua originale e bellissima “lingua Coliana”.  E com'è faticoso poi vagliare la terra di
scavo, lavare i cocci, consolidare il rivestimento quando se ne va, siglarli
per provenienza topografica e stratigrafica, e infine selezionarli in maniera
funzionale per la stesura sui tavoli di ricomposizione nella “Sala Attacchi”.

La
notte sognava giacimenti archeologici di ceramica di Montelupo, di giorno
ripensava al sogno mentre era intento a pitturare sul suo tornietto in fabbrica
e il sogno diventava una realtà nella sua mente. Dopo queste “rivelazioni”
arrivava “al GAM” e ci diceva che bisognava fare un saggio, anzi una buca, nel
tal posto “dreto la casa di... o nell'orto di...o nel campo a...”. In realtà
spesso, nel sogno, prendeva coscienza di quanto aveva intravisto nelle sue
continue osservazioni, urbane o campagnole che fossero.  Aveva un occhio indagatore, riconosceva in un
campo arato o nei materiali di scavo per la posa di una conduttura urbana
indizi che pochi avrebbero colto: un piccolo frammento di laterizio, un'argilla
stranamente colorata in verde rame, un piccolo”sasso scheggiato” rosso vinaccia
o nero, per non parlare delle maioliche. E così, portando con sé i cuccioli e
gli anziani formava tutti alla sua arte istintiva, nutrita però di studi e
letture che non lo facevano sfigurare di fronte alla casta degli eruditi.
Spesso i sogni corrispondevano al vero, allora battezzava gli scavi a modo suo,
quasi sempre riferendosi ai proprietari o agli abitanti dei luoghi, come il
famoso “Casa Cambi”, che poi venivano immortalati nelle pubblicazioni del Berti
e riprese poi anche da altri autori. A questa serie dei sogni o delle visioni
corrisponde il curioso episodio della “grande collezione di circa 200
Arlecchini” esposti sui muri di una nobile dimora, posata come una corona sulla
testa di uno dei tanti colli che incorniciano la Conca di Firenze, con vista
sulla Cupola di Messer Pippo che quest'anno accende 600 candeline.

Fausto
Berti ed io, previo doveroso appuntamento, fummo ricevuti dalla padrona di
casa, una nobildonna di antico lignaggio la quale mostrò sincero stupore oltre
che rammarico nel dover infrangere il bel sogno: di Arlecchini nemmeno uno,
nemmeno la sua ombra! Fu proprio come cantava Domenico Modugno: “Ma tutti i
sogni nell'alba svaniscon perché,  quando
tramonta la luna li porta con sé”.

L'Italia
del 1958 col suo nuovo inno nazionale di Franco Migliacci, cantato in tutto il
mondo, continuò a sognare, a costruire, a produrre e a volare fino al quarto
posto della graduatoria mondiale delle economie manifatturiere. Fabrizio Coli,
“l'Omino Blu” di Montelupo, come in un quadro di Marc Chagall, continuò a sognare
e a impegnarsi sodo, ogni giorno, nonostante tutto e tutti, e fece volare il
GAM e il Museo di Montelupo in alto, tra i più prestigiosi Musei della Ceramica
del Mondo. In questa impresa, ovviamente, non fu solo proprio perché sapeva
condividere il suo sapere, il suo scopo e la sua volontà con gli altri, senza
protagonismi e senza egoismi, mai “prima donna”. Con lui si stava bene. Questo
è stato l'ingrediente segreto che ha reso “unica” e ricca di frutti la sua
esistenza.

Verso
la metà degli anni '60 molti ceramisti di Montelupo e di Capraia, come pure
molti operai di altri settori manifatturieri, migrarono verso le Poste e verso
le Ferrovie in cerca di un lavoro sicuro e forse... migliore (?). Anche
Fabrizio ci provò e ci riuscì. Entrò nelle “Regie” Ferrovie dello Stato ma gli
scambi di un nebbioso scalo merci milanese non facevano per lui e, dopo un
quasi mini disastro ferroviario – che noi, beninteso, per ridere ci divertivamo
a ingigantire, tornò ai cocci, quelli di fabbrica per mangiare e quelli nei campi
per vivere.

Era
un personaggio di una poetica unica. Le sue vicende, nella loro quotidiana
semplicità, in lui diventavano epiche, le gesta di un “eroe” degne di essere
cantate in un “Poema” moderno, quale in fondo è un fumetto o meglio un cartone
animato. Le sue avventure giovanili, i suoi gusti “boteriani”, “Che rote
gliavéa, ragazzi, mi toccò pigiaccela pe' falla entrà nella Cinquecento!”. Se
avessi avuto il dono del disegno lo avrei raffigurato proprio come lo definì
una delle sue bambine quando lo vide di profilo in mutande mentre si lavava il
viso un po' curvo sul lavandino, “O babbo, tu sembri un pollo!”, con le sue
gambe troppo esili in confronto alla pancia “importante”. “O che si dice queste
cose al Babbo!?” replicò con un tono falsamente di rimprovero. Quando ce lo
raccontava, seduti al tavolo tondo o in piedi sotto la luce dei neon intorno al
grande tavolo centrale della “Sala Attacchi” mentre teneva tra le mani un
piatto o un boccale “in crescita”, rideva con gli occhi e con un viso così felice
e compiaciuto che mi sembra di vederlo ora, mentre scrivo.

E
poi le uscite week end “pe' anda' a fa' pietre” o le incursioni “all'estero”
come a San Genesio sulla Via Francigena, “mano rampante in campo altrui”,
secondo l'araldica “Coliana”, mano armata con un metal-detector oltre che di
piccone, pala e trowel. Oggi a San Miniato sono grati a lui e al GAM perché i
preziosi reperti sono tutti ad arricchire l'esposizione archeologica dedicata
al sito di San Genesio.

Che
carisma! Ancora oggi ne sanno qualcosa i due diversi e successivi gruppi di ex
giovani che lo seguivano come se fosse il Pifferaio Magico di Hamelin, a
Montelupo, in Toscana, invece che in Bassa Sassonia. “Venite drento ragazzi,
venite drento!” disse “quella” volta a tre ragazzi che lanciavano piccoli
sassolini su quel vetro imbiancato di boiacca, curiosi di vedere cosa c'era
dentro, in quel piccolo locale alle spalle di un tabernacolo ormai illeggibile
sotto casa del Cucco, proprio di là al ponte del Porro. I tre ragazzi erano
Paolo Ugolini, Alessio Ferrari e Paolo Piatti. Era il seme del GAM.

La
musica del suo piffero magico varcò presto i confini di Montelupo e vennero
“Gammisti” da Firenze, da Borgo a Buggiano, da Capraia e da Limite sull'Arno,
da Scandicci, da Empoli, da Ginestra e da Lastra a Signa, da Quarrata, da
Artimino, da Prato, da Greve in Chianti e da Santa Croce Sull'Arno. Il GAM
divenne il Gruppo di volontari di ogni ceto sociale e di ogni mestiere e
professione, il “meno locale” di tutta la Regione.

Purtroppo
la luna tramontò anche su questo sogno. Il GAM ha cominciato ad allontanarsi
dal prezioso e magico scrigno di ceramiche antiche qual è il centro storico di
Montelupo da quando Fabrizio cessò di suonare il piffero magico della costante
attenzione ad ogni scavo occasionale, dello stimolo incessante a ricercare,
dell'invito agli altri, dell'accoglienza che ti fa sentire a casa in mezzo a
tutti quei cocci e dentro al miracolo della “Sala attacchi”. Scagli il primo
coccio quel Gammista che non ha mai trovato almeno un “attacco” in vita sua.
Fabrizio ci aveva insegnato e ci spronava sempre a provare la felicità di
trovarne uno, specie se dopo lunghe serate “in bianco”. E, a proposito di
insegnare, se questo archeologo-per-passione non fosse stato un ceramista, non
avrebbe saputo spiegare e insegnare agli “esperti”
archeologi-ceramologi-storici la carta d'identità di ogni reperto ceramico, il
materiale, la tecnica di foggiatura, il rivestimento, la tecnica di
decorazione, il difetto di fabbricazione per il quale era stato gettato “in
discarica” e così via. Con la sua spontanea semplicità ha innestato il sapere
ceramico su altri saperi ritenuti – a torto - di rango superiore. Pur senza
saperlo ha dato più lui alla Ceramica di Montelupo e alla sua Storia, di tanti
Maestri senza allievi, troppo concentrati sul proprio pennello senza colori. Le
serate “a veglia” in compagnia di due Matèussi, ovvero due “bocce” di Mateus
Rosé, il vino ufficiale del GAM Coliano, che il “ragazzo” di turno andava a
comprare “da Carlino”. Erano ore magiche in via dei Pozzi in quella prima metà
degli anni Novanta del secolo scorso intorno al grande tavolo rotondo del GAM,
opera dell'eclettico Gammista Gualtiero Gargelli, alias Gualtiero il
ferroviero, Capraìno di qua d'Arno, quando Fausto Berti ci raccontava le ultime
novità, fresche di giornata, delle sue ricerche storico-archivistiche. Fabrizio
era “la spalla” principale che riusciva a far raccontare a Fausto come intorno
al focolare, la ceramica, i ceramisti, i clienti, i litigi e le disavventure di
quei tempi che affiorano, colorati, dal sottosuolo di Montelupo. Era un modo
colloquiale, domestico, a volte da osteria, che ci faceva sentire dentro quel
mondo e quel tempo, magari con l'aggiunta romanzata di qualche dialogo come nel
processo al ceramista che era entrato a consegnar la merce in un convento di
clausura a Firenze ma che non la passò liscia. Rimediò dal Granduca non mi
ricordo più quanti “tratti di corda” e una multa salata. Ah! Ma che gli avrà
fatto Costui alle monache!?

Come
ogni Salmo finisce in Gloria, così tutte queste “veglie-prima-di-cena” finivano
con la scenetta di Fabrizio che sembrava Paolo Panelli, il falegname nel “Conte
Tacchia”, quando con foga accorata esortava Enrico Montesano, il figlio un po'
“svagato”, “bisogna lavorà! bisogna lavorà! bisogna lavorà!”. Così lui, tra
l'irritato e il disperato diceva al Berti, affetto allora dalla stitichezza a
pubblicare indotta dal rigore dello studioso, “Tu hai scritto il Vangelo della
Maiolica di Montelupo, ora devi scrivere la Bibbia. Bisogna pubblicà! Bisogna
pubblicà! Se no queste cose un le sa nessuno! Porca cavalla!”.

Peccato
che “queste cose”, quelle dette intorno al tavolo rotondo, non siano state
raccontate a tutti né sui libri, né nel museo. Altro che cocci rotti! Sarebbe
stata tutta un'altra storia. Era anche questo un cruccio di Fabrizio, non
essere riuscito a far innamorare della storia della ceramica i ceramisti. Ecco
perché l'ho sentito come un fratello  con
il quale ho condiviso, appunto, un sogno.

Solo
chi sogna e poi testimonia, sa indicare strade nuove e riesce a portare gli
altri a percorrerle.

Stamani
ti ho portato un fiore, lassù a Pulica, da dove sei partito e dove sei
ritornato. Grazie Fabrizio.

Paolo
Pinelli


Ceramica nel profondo

#collezionemontelupo

Il Museo di Montelupo ha aderito a un progetto di studio archeometricosulle maioliche rinascimentali montelupine, mirato ad analizzare decorazioni e vetrine di rivestimento. La ricerca, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze, è condotta da Roberta Di Febo, specializzata in archeometria ceramica attraverso la tecnica delle sezioni sottili. L'intervento riguarda nello specifico l'analisi delle composizioni della maiolica arcaica (verde-bruno), del "damaschino" (azzurro), dell’imitazione ispano-moresca (giallo) e del rosso di Montelupo. Il progetto si inserisce in un proposal presso l'importante centro ALBA Sincrotrone di Barcellona (www.cells.es).

I campioni selezionati – si tratta di piccoli frammenti provenienti da recuperi prevalentemente in giacitura secondaria, svolti in passato nel centro storico dal Gruppo Archeologico Montelupo - saranno analizzati petrograficamente mediante sezioni sottili e analisi di micro-diffrazione a raggi x, microsonda elettronica e mapping Raman.

Sono tecniche
che prevedono una sezione sottile lucida su cui verrà condotto lo studio sul
singolo campione. Questo intende raccogliere informazioni sulle tecniche
decorative su smalto, la selezione del pigmenti, i metodi di applicazione e le
condizioni di cottura. I dati ottenuti verranno confrontati, ad esempio, con le
informazioni disponibili sui libri tradizionali di produzione ceramica, come il
trattato di Piccolpasso e la raccolta di ricette di Dionigi Marmi, ceramista in
Montelupo.

La radiazione
di sincrotrone (SR-XRD) è ottimale per determinare la struttura dei cristalliti
anche con bassa quantità del campione; l'uso di XRD attraverso il substrato
consente, quindi, la caratterizzazione approfondita dei microcristalli,
irraggiungibile usando altre tecniche. Questo metodo è stato applicato con
successo a smalti di altre importanti produzioni storiche, e prevede, anche in
questo caso, l'estensione dell'intero processo su un ampio campione
montelupino.

I frammenti
oggetto di analisi sono stati recentemente inviati a un laboratorio di Piombino
per la preparazione delle sezioni sottili, che saranno poi sottoposte ad
analisi presso ALBA Sincrotrone di Barcellona.

(Red.)


Le ceramiche “Offerta a Shiva”

“Pezzi
unici e Collezioni d’Autore” - 2

#storieceramiche

Oggi voglio raccontare di
un'altra significativa e straordinaria collezione di ceramiche: Offerta a Shiva o Siva realizzate da Ettore Sottsass nel 1964 presso la manifattura
Cav. Guido Bitossi & Figli.

 “Faremo altari per sacrificare le nostre
solitudini e altri altari per fare l’amore” (Sottsass in “East 128”, 1964).
Dopo essere passato attraverso le tenebre, grazie all’amore Sottsass è riuscito
a ritrovare la vita e all’amore dedica nel 1964 una serie di piatti.

Le ceramiche “Offerta a
Shiva” sono composte da una serie di oltre cento piatti semplici dalle antiche
forme rinascimentali perlopiù in terra rossa. La decorazione sobria è stata
fatta personalmente da Sottsass; una geometria di segni incisi sull’argilla
cruda, cerchi “tirati da un compasso che era un filo di ferro piegato in due”,
righe tirate con un chiodo e cerchietti “fatti con pezzetti di tubo raccolti
qua e là” (E. Sottsass, Offerta a Siva,
in “Domus”, 422, 1965, pp. 49-54).

Nonostante l’affermazione
di aver voluto fare dei piatti più o meno decorativi che non dovevano avere una
funzione, ma “andavano attaccati al muro e guardati” (Sottsass, Scritto di Notte, 2010, p. 231), si percepisce
sempre più vicina l’idea del disegno di oggetti come catalizzatori di
percezione.

Nel settembre del 1963
scrive a Londi: “ho visto una Mostra di 204 piatti di Picasso alla Galleria
Madoura a Cannes. Quel mostro di Picasso come sempre, anche se ha 84 o 184 o
2484 anni riesce ancora a fare delle cose meravigliose e sorprendenti. […] Così
è venuta voglia anche a me di fare piatti, non certo per far concorrenza a
Picasso, ma tanto per cambiare, e diciamo che l’idea di fare piatti me l’ha
data Picasso, così copierò da Picasso non i piatti ma l’idea ecc. ecc. (sic)” (Archivio Aldo Londi).

Per le ceramiche dedicate
a Shiva Sottsass realizza un’infinità di disegni, ma quando i primi
trentaquattro piatti di argilla sono fatti, incisi, pronti e finiti qualcosa va
storto. Tante le congetture: poteva essere stato il vento entrato nei capannoni
deserti della Bitossi ad aver asciugato troppo in fretta le argille, poteva
essere stata la regolazione sbagliata della temperatura del forno piccolo o lo spegnimento
anticipato dei forni. Rimane il fatto che il lunedì mattina Londi è disperato e
a Sottsass non rimane da offrire a Shiva che quei cocci poveri e teneri di
Montelupo, cotti a basse temperature, col solo desiderio di raggiungere la
felicità “attraverso la luce della forma sottile” (Sottsass 1965).

Questo deve aver percepito Sottsass quando vede i piatti esposti sulla grande tavola alla Bitossi, tanto da asserire di non aver “mai visto smalti così belli, strani, imprevisti, vagamente magici” (Sottsass 2010, p. 232), convalidando il proprio interesse per “la sperimentazione dei materiali, delle tecniche, delle contaminazioni meno ortodosse, il piacere perfino, si direbbe, degli incidenti inattesi …” (Santini, Introduzione ad Ettore Sottsass jr., in “Zodiac”, 11, 1963). E quando, molti anni più tardi, gli verrà chiesto quale è stata l’ultima volta che si è commosso prendendo in mano una ceramica, il suo pensiero andrà proprio a questi piatti.

Marina Vignozzi Paszkowski

“Domus”, 422, 1965.